[Salerno, Roma 2012]
Se la monografia è un testo argomentativo dedicato a una singola questione, ovvero a una sola personalità letteraria, scrivere una monografia su Ungaretti, come ammette Saccone stesso nell’introduzione, certamente è un azzardo. Il fatto è che in questo autore, tanto studiato apparentemente ma in realtà non così spesso affrontato per intero, il principio di separazione salta quasi sempre, non funziona; in Ungaretti di esclusivamente singolo, sia al livello della biografia che della scrittura, non c’è niente.
Tutto è frammento e tutto è sintesi; tutto, dunque, sta insieme, ma non secondo la banale mitografia del rapporto vita-opera, piuttosto dentro la concretezza, sempre cercata, dell’esperienza: «sono un gran soldato dell’arte» – scriveva il poeta nel 1918. La sua vita è “originale”, ma l’originalità in gioco è tanto diversa da quella che intendeva Zeno mentre passeggiava con Guido Speier su per giù negli stessi anni di stesura del Porto Sepolto: presuppone sempre uno scarto dalla norma, dai luoghi comuni, anche in senso incendiario e avanguardista, e nondimeno rivendica il diritto a un’espressione di sé individuale ma, nel medesimo tempo, tesa alla partecipazione totale e condivisa. La seconda stagione del Sentimento del Tempo certamente incurverà questa tensione verso un essenzialismo molto più decantato, ispessendosi nel frattempo di memoria letteraria e di un metro molto più regolare, come si spiega nel capitolo terzo che fa da cerniera alle due fasi; ma il gesto di offrire la vita (intesa pure come studio e lavoro: di saggista, critico d’arte, corrispondente di viaggio, insegnante, conferenziere, traduttore) in pasto alla scrittura rimane una costante.
Persino quando si fa più ordine, questo furore si consuma senza mai esaurirsi: le parole con cui Ungaretti definisce Jacopone da Todi in una lezione brasiliana valgono anche per lui: «l’interprete più completo, più essenziale, più intenso delle passioni del suo tempo» (p. 178). Del resto, stiamo parlando dell’autore italiano novecentesco più cosmopolita: nato a Alessandria d’Egitto, vissuto a Parigi, a Roma, in Brasile (dal 1937 al 1942), a New York. Di conseguenza, quando si parla di Ungaretti, come testimonia il titolo complessivo scelto per il corpus poetico (Vita d’un uomo), bisogna azzardarsi, per l’appunto, a unire e separare, comporre e scomporre, ossia fare i conti non con un singolo testo, un singolo libro, una singola stagione o una singola attività, ma con quello che si potrebbe chiamare il “sistema Ungaretti”.
Per stringerlo in un intero, la monografia di Saccone è composta da nove sezioni, dove i tre tempi fondativi dell’Allegria (cap. II), di Sentimento del tempo (cap. IV) e del Dolore e della Terra promessa (cap. VIII) si alternano e si arricchiscono del confronto con le esperienze culturali, lavorative ed esistenziali ad essi simultanee: così la poetica della memoria articolata in Sentimento conquista profondità dalla rilettura degli interventi su Dante, Petrarca, Vico, all’epoca dell’insegnamento in Brasile, oppure attraverso le traduzioni del sonetto XV di Shakespeare (dove «incostant stay» diventa «permanenza incostante »: p. 207), di Racine, o di Blake.
Il commento ai testi è rigoroso e aggiornato di categorie filosofiche che consentono di ripensare la dialettica di contingenza e durata, o ascensione e impurità attraverso Bergson; le considerazioni sullo stile, sulle varianti (Ungaretti è poeta dalle «incessanti revisioni »), sulla tessitura fonico-ritmica, o sull’architettura dei singoli libri cercano di capire e discutere nessi di senso (per esempio tra identità italiana e identità poetica: p. 58) e un’inquietudine sperimentale che vanno ben oltre il territorio della retorica, senza per questo trascurarla, anzi valorizzandone, tra le altre, le risonanze barocche o leopardiane (un paio di rapidi esempi: l’analisi di O notte e di Silenzio in Liguria, alle pp. 111-112; o di Danni con fantasia, alle pp. 126-127) – d’altronde il mito della scrittura immediata non regge già all’altezza del Porto.
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